«En redescendant, le cœur léger, je sifflote gaiement. Je viens de gagner le ticket pour le cap Horn, l’Amazonie… Ah ! Connaître l’enfer vert, la chaleur suffocante, les moustiques, les papillons aux ailes moirées, manger de la soupe de perroquet Ara, de la queue de caïman, avaler des larves gluantes, découvrir les mers du sud, entendre rugir le vent des quarantièmes, entendre hurler celui des cinquantièmes en doublant le cap Horn, siffler le dauphins qui dansent au clair de lune, apercevoir les glaciers qui brillent au fond des fjords ! Je veux vivre à en crever…»
JMB

lunedì 15 dicembre 2014

Storiella + Novembre 2014

Il racconto che segue non ha riferimento a fatti realmente accaduti. E' frutto della fantasia.
Chiaro che leggendolo ognuno non potrà fare a meno di ricreare nella propria testa immagini di situazioni conosciute. Io l'ho fatto.
A me il racconto che segue lascia un po' di amaro in bocca e un po' di freddo nello stomaco.
Sarebbe bello, e in questo sta il mio tentativo, direte voi se fallimentare o meno, di far soffiare un po' di vento. Vorrei fissare per un attimo le immagini che seguono nel posto recondito dove i pensieri diventano ricordi e dove i ricordi diventano morali, fino ad influenzare il nostro agire. Questo flusso di ricordi, pensieri, idee, immagini è quello che io chiamo vento, in questo contesto. Il vento che soffia in montagna porta il timore del freddo e ci fa rabbrividire e noi reagiamo magari tremando e sfregandoci le mani. Allo stesso modo vorrei creare una piccola folata sulle cime delle montagne che ognuno di noi porta dentro per rabbrividire un attimo dall'interno: uno di quei brividi che ci fa scaldare, amare, agire per poter sperare un poco di più in una vita da uomini.

Girano molte storie di montagna. Spesso si tramandano di bocca in bocca e non si riesce mai a fissarle. Sfuggono, rimbalzano, si appiccicano. Le storie di montagna sono appiccicaticce.
La storia della montagna Rossa una di queste. Il protagonista di cui si narra potrei essere io, potresti essere tu, potrebbe essere lui. Potrebbero essere tutti. La montagna, potrebbe essere una strada. La valanga, quella, potrebbe essere una macchina. Insomma...La montagna è un pretesto. Giusto per dare al testo un contesto. 
Si racconta di un ragazzo che venne investito da una valanga sulla cima Rossa, sulle propaggini del monte Calendo, nella Verbania est. Accadde in marzo: mese autunnale nell'emisfero Australe. Lui aveva l'abitudine di avventurarsi in alta montagna da solo.
Alla vista di quel gigantesco fronte di valanga che si staccava e che veniva a lui presso, si sarebbe ricordato di quel giorno in cui, molti anni prima, aveva visto picchiare una ragazza, e dei nodi nel legno delle assi del soffitto del bivacco sotto cui si riposava solamente un mese prima e dove aveva pronunziato una tremenda profezia.
Se solo avesse avuto il tempo, di fronte a quel pezzo bianco di geologia glaciale che gli si abbatteva contro con una furia titanica, avrebbe maledetto tutte le scelte da uomo che non aveva fatto nel corso della sua vita. L'ultima, la più fatale –la pronuncia della profezia- non era diversa dalle altre. La realtà è che ormai da tempo aveva cominciato a seppellire da solo l’uomo che c’era in lui.
Il setto nasale se l'era rotto -ma più correttamente, per essere più gentile nei suoi confronti, dovrei dire che se lo fece rompere- una mattina grigia di dicembre di molti anni prima della caduta della valanga. (Ecco, io lo racconto così, e in effetti scrivo così, perché, come detto, vorrei essere gentile con lui. La realtà è che non si sa bene se quel setto nasale lui non se l'era rotto per una gomitata. A dire il vero non so neppure se se lo fosse rotto. Questa storia però è diventata parte di lui, e forse anche lui aveva finito per crederci. Aveva finito per avere un setto nasale rotto dalle sue fantasie, dai suoi rimorsi. In ogni caso, non voglio essere cattivo, dirò solo che il suo setto nasale si ruppe). Non so se si ruppe nelle circostanza in cui lui raccontava che si ruppe. Ecco però io credo che se è vero che il suo setto nasale si ruppe veramente nel modo che è solito raccontare, non sarebbe vissuto tutti quegli anni nei suoi bui rimorsi fino al giorno della valanga. Bui rimorsi. Si, perché è da quel triste mattino che la sua vita poco a poco cambiò. E fu da quel mattino che cominciò ad andare da solo per le montagne. In quel triste mattino della sua adolescenza camminava incappucciato nelle nebbie e nei vapori di una ferrovia. Quello che vide, sarebbe rimasto a lungo nella sua memoria: due figure scure, di un uomo e una donna si fronteggiavano. Sentiva le voci dei due che si alzavano sempre di più e percepiva una strana elettricità nell'aria. Ad un tratto la figura dell'uomo mosse un braccio e spalmò con violenza il suo polso sullo zigomo e poi sulla guancia e sulle labbra della figura della donna, che precipitò a sul fianco sinistro sorreggendosi a malapena con ginocchia e mani. Il ragazzo sentì un violento calore salirgli il collo e poi la testa e il cuoio capelluto. Fino a dargli la sensazione di potersi esfoliare come un serpente. Una parte di lui agì di istinto e avvolse le sue braccia attorno alla figura dell'uomo cercando di immobilizzarla. Fare a botte non era il suo mestiere. Tanto che, la sua azione tanto cavalleresca dal piglio eroico e dall'impeto coraggioso, prese i connotati incoerenti quando finì per biascicare: "ma che cosa fa?, si contenga!". Sentì le braccia disserrarsi e le costole piegarsi una ad una come i tasti di una pianola. La figura dell'uomo, in cui, finalmente riconobbe (che sorpresa) un uomo!, si dimenò e si liberò dalla presa. Quando fu libero di muoversi ruotò spalla e braccio all'indietro facendo fermare il suo gomito sul naso del ragazzo che, impreparato a tanta violenza, cadde supino sul sedere come se gli avessero sfilato il tappeto da sotto i piedi.
Ma l'uomo, che probabilmente di violenza e di mattinate fredde nelle ferrovie aveva vissuto, non si curò neppure di quel naso rotto, ma fece rialzare la figura della donna –nel quale si riconobbe, che sorpresa! una donna!- e con uno strattone la portò via nel buio. Mentre la strattonava e cercava di farla camminare impedendole di lamentarsi, passò davanti all'altra parte del ragazzo che nel frattempo se ne era stato immobile, con le mani in tasca, senza far nulla, sulla soglia di quella scena. Il ragazzo con le mani in tasca guardava sbigottito il ragazzo che, a terra, si teneva il naso e che gemeva per il dolore. Questi si mise una mano in tasca per cercare un fazzoletto con cui fermare il flusso di sangue vermiglio che sgorgava dalle narici. Orribilmente viola, una macchia di sangue si accumulava sotto la sua pelle, fino al di sotto degli occhi lucidi. Il ragazzo con le mani in tasca rimase con le mani in tasca. Non provò nessuna pena, ma al contrario, provò commiserazione. Tra sè e sè ripeteva: "ecco, hai visto che succede a non farsi gli affari propri...ed ecco...ciò che rimane di un uomo ora...una pettola insanguinata per terra. Uno sputo di catarro rosso...".
Quell'immagine, ma soprattutto quel pensiero, non lo avrebbero mai più abbandonato. Gli anni passarono e agli anni si aggiunsero ad altri anni. Quella commiserazione per l'altro si trasformò in commiserazione per se stesso. Perché aveva capito che di quel ragazzo maldestro che si era fatto rompere il naso non rimaneva molto, una volta che lo si guardava con le mai in tasca dall'alto in basso; ma di quel che rimaneva, almeno c'era qualcosa di essenziale, qualcosa che lo faceva rimanere uomo. Ecco cosa rimaneva di un uomo: qualcosa. Mentre a lui, al ragazzo con le mani in tasca, non rimaneva neppure quello. Quella macchia di sangue, non sarebbe mai andata via. Si sarebbe per sempre odiato per la commiserazione che aveva provato. Giurava di esser stato il ragazzo colpito da quel folle gomito, ma forse avrebbe solo voluto esserlo.
Ma ora, ora, era di fronte ad una montagna che cadeva. Un respiro gelido lo investì con l'urto di una tempesta. I suoi piedi si fecero molli e le gambe non rispondevano. Avesse dovuto descrivere quel vento, avrebbe detto che quello era l'alito di Giove. Si trovava di fronte allo scatenarsi della forza più grande che avesse mai immaginato: che annunciava il crollo del mondo e delle cattedrali della terra. Un boato immenso, di un ingombrante e assordante spessore, lo raggiunse e lo sorpassò; e con esso, un urlo straziante. Il grido di un cavallo bianco che veniva ammazzato dentro di lui cavalcava un’ondata il brivido: era il grido senza fiato della paura. Era il terrore.
All'alito fecero seguito, nell'ordine: il getto di cristalli, la raffica di schegge e la l'ondata di polvere. Ma fu dopo l'ondata di polvere che lui smise di distinguere. Distinguere colori, distinguere pensieri. Distinguere sensazioni, distinguere dove e come, fosse posizionato ogni pezzo del suo corpo. Fu allora che quel vomito bianco lo colpì, lo avvolse, lo abbracciò e lo trascinò per sempre con se. La neve polverosa si infilava nella giacca e nei pantaloni. Poi su per le narici e per ogni condotto che nel mondo dei vivi quel corpo  adoperava per nutrirsi d'aria. Neve fino alla gola. Polvere d'acqua e ghiaccio fino ai polmoni. Perse conoscenza. Poi perse la possibilità di riprendere conoscenza. Poi più nulla, ovvero, la sua conoscenza sparì, le cellule cerebrali che si erano spente a milioni in quel folle rimescolamento erano all'estinzione. Dal corpo senza più vibrazioni e tremori quella tempesta bianca aveva preso ciò che rimaneva dell'uomo: l'essenziale. Era diventato ghiaccio, quell'uomo diventato montagna.
Poi, silenzio. E ancora silenzio. Perché la montagna fa rumore ed esige silenzio. Senza appelli. Ore dopo, una folata di vento sollevò un turbine di neve e ghiaccio dalla cima, proprio sopra al pendio, dove, in quel primo pomeriggio, si era staccato un cornicione carico di neve. Ci fu uno sfarfallio di brillanti faville bianche e azzurre che poi si fecero trasportare giù per i pendii innevati. Nell'ultimo chiarore del crepuscolo, che colorava di rosa e di oro ora solamente le cime, fischiarono nelle serrature dei crepacci e sfilarono attraverso dei torrioni di roccia monumentali. Scesero ancora, intatte nel loro splendore. Sembravano la scia di una cometa. Si abbassarono ancora fino alla porta del bivacco, baluginarono intorno alla lampada accesa all'esterno e quando capitarono di fronte alla finestra chiusa, si spensero e caddero nel buio della bassa quota. In quel bivacco ci aveva dormito solamente un mese prima. Quella volta in cui aveva aspettato per un giorno intero il bel tempo. Quella volta, mentre si riposava nel caldo del sacco a pelo con le braccia incrociate dietro la testa, osservava le nodosità del legno chiaro di cui erano composte le assi del soffitto. Quei nodi sembravano delle lacrime. Sembrava che ci fossero solo dal momento che l'albero dalle quali erano state estratte aveva pianto per il dolore. Accanto ai nodi: strisce scure, serpeggiavano eleganti. Fissandosi sulle strisce non erano più i nodi ad essere gocce immobili, ma erano le strisce ad essere scie ferme delle lacrime sui loro volti polverosi. Ora invece i nodi erano immobili pilastri a cui l'acqua di quel fiume di dolore fluiva accanto. Dal tavolo, una candela faceva luce senza convinzione e metteva in movimento ogni cosa con le sue ombre rossastre e gialle e arancioni. Sembrava che il soffitto potesse prendere fuoco, ma che, sorprendentemente, ci si sarebbe potuti rimanere avvolti come in un caldo abbraccio. Riguardò il legno del soffitto: i nodi come gocce e le strisce come filamenti che se le contendevano. Poi riguardò ai nodi come noccioli immobili e vide di uovo le strisce muoversi. E poi pensò al gusto fruttato del vino, alle botti di rovere, all'immobilità del legno senza vita. "Che bello il nome Amaranta", sospirò. "Sembra un nome da legno, da albero. Ah! Potessi vivere in un albero". Lo sguardo finì poi sulla finestra. Poi attraverso la finestra fino alla nebbia azzurra e pallida che avvolgeva e premeva sul rifugio. C'era un pallore speciale. La luna piena non aveva forza per bucare le nuvole basse, ma le riempiva con talmente tanta smania di quel suo colore di perla che se qualcuno avesse detto: "ancora un po' e le nuvole scoppiano" nessuno avrebbe detto niente per deridere la sua eccessiva esclamazione. E la pressione della nebbia piena di luce fu talmente forte che compresse tutti i pensieri dell’abitante del bivacco fino all'immobilità totale. Scese la pace del sonno nel caldo delle coperte e nell'immobilità dei pensieri: persino le ombre proiettate dalla luce della candela sembravano fermarsi. Nodi e strisce che fino a quel momento aveva fatto muovere a suo piacimento solo con un semplice cambio di prospettiva, erano ferme immobili a pochi centimetri dal suo naso.
"Sai....", disse: "se ci trovassimo la fuori, investiti da una valanga e dovesse restare sotto solo uno di noi due, e si potesse scegliere tra i due chi potesse essere il travolto e chi potesse essere quello salvo con in mano l'ARTVA*...beh, io sceglierei di essere quello sotto."
Non stava parlando da solo. Stava parlando a quel ragazzo che, anni prima, aveva visto farsi rompere il naso da una gomitata. Insomma … Non aveva smesso di non essere uomo, nelle sue scelte.


E nessuno sopravvive a se stesso. 


(* l'ARTVA, ovvero il dispositivo per la ricerca dei travolti da valanga)

JMBReRe

Allora il diario invece:
Settimana 24-30 Nov
  • corsa: 8 mar, 10 mer, 10 dom;
  • bici: 50 sab;
  • secco: gio, ven, dom;
  • nuoto: gio, ven, dom;
Settimana 1-7 Dicembre:
  • Secco: mar, gio;
  • Nuoto: mar, mer, gio;
  • Scialp: 600 sab, 700 dom;
Settimana 8-14 Dicembre:
  • Scialp: 700 lun;
  • Secco: mar, gio, sab;
  • nuoto: mar, mer, sab;
  • corsa: 8 ven, 14 dom;
Quindi novembre 2014 conta:
  • Corsa: 13 all, 130 km;  :-)
  • Bici: 6 all, 245 km;       :-/
  • Nuoto: 8 all;                  :-/
  • Secco: 11 all;                 :-)
Nel complesso, direi ->   :-)

Cosa avevo fatto negli scorsi anni a novembre???

2013 
  • Corsa: 161 km per 14 all;
  • Bici: 130 km in 3 sedute;
  • Nuoto: 7 all;
  • Secco: 8 all;
  • Scialp: 2 1000 e 600 D+;
  • Esc: 1 da 500 D+ easy;
2012 invece? Novembre:
  • Corsa: 12 All, 146 km :-\ 
  • Bici corsa: 1 da 25 :-(
  • Secco-Pesi: 8 all ;-P
Nel 2011 cosa avevo fatto??
  • Corsa: 13 tot 115 km;
  • Mtb: 5 tot 120 circa....molto circa;
  • Bici da corsa: 1...cosa???? :-0 che schifo...
  • Nuoto: 1...cosa???? :-0 che schifo...
  • Trave: 6, ok...
  • Arrampicata: 2, ok...
Fate i bravi...

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