«En redescendant, le cœur léger, je sifflote gaiement. Je viens de gagner le ticket pour le cap Horn, l’Amazonie… Ah ! Connaître l’enfer vert, la chaleur suffocante, les moustiques, les papillons aux ailes moirées, manger de la soupe de perroquet Ara, de la queue de caïman, avaler des larves gluantes, découvrir les mers du sud, entendre rugir le vent des quarantièmes, entendre hurler celui des cinquantièmes en doublant le cap Horn, siffler le dauphins qui dansent au clair de lune, apercevoir les glaciers qui brillent au fond des fjords ! Je veux vivre à en crever…»
JMB

venerdì 29 marzo 2013

Le gare, secondo me, sono come gli Oracoli

Ultimamente mi sono dovuto confrontare con l'argomento "gara" in diverse discussioni. Questo principalmente per via delle ultime notizie spiacevoli riguardo a gare di endurance che sono state comunque iniziate nonostante condizioni meteo critiche. Questo ha provocato spiacevolissime conseguenze sulla salute dei partecipanti che si sono comunque spinti verso il loro limite, come, secondo me, in una gara, è giusto aspettarsi. E' già successo, e succederà ancora. Non è questo il posto in cui io riesca a discutere di questo argomento. Non riporto link riguardanti queste notizie: penso che chi è dell'ambiente si sia già interessato e abbia in testa già diversi esempi, sia recenti che datati. Chi non è dell'ambiente può sicuramente interessarsi senza il mio aiuto.

Qui vorrei parlare di come la vedo io. Di come interpreto io la cosa: la possibilità di spingersi fino ad un limite che, se valicato, può portare a conseguenze estreme. La ricerca di questa possibilità. Regalarsi questa possibilità. Sia in allenamento, sia in gara. A fine giornata, di notte o all'alba. Di domenica o il lunedì di Pasqua. Di quanto sia coscente/incoscente lo spingersi fino a questo limite. Di quello che può essere il proprio tornaconto, se ce n'è uno. Capire perché questo tornaconto non possa essere spiegato, se non con la ricerca del tornaconto stesso. La ricerca della soluzione, sembra essere la soluzione stessa.

Secondo me, quindi.... assolutamente e candidamente solo secondo me. Da figlio minore dello sport.
Dico solo che raggiunti certi livelli di fatica, di coinvolgimento, di eccitazione, ci si stacca dalla realtà. Questo può accadere nella corsa, come nel boulder, come nell'arrampicata sportiva, come in quella alpinistica. Come nella bici. Quello che credo è che la facilità con la quale ci si stacca dalla realtà dipende dalle nostre naturali propensioni, e credo che rincorriamo ciò che più rapidamente ci fa trasportare. Dico che la ricerca di questo distacco, a qualcuno che lo ha provato, sia incentivata dal fatto che, fuori dalla realtà esista un proprio io felice e puro, selvaggio. Selvaggio nel senso che ci riporta ad affrontare i problemi più fondamentali della natura umana: sete, fame, affaticamento, necessità di calore e riparo. Libertà di poter pensare ad altro, a quello che si vuole: a qualunque cosa. Quell'io ha tutto ciò di cui ha bisogno perché è libero in tutti i modi in cui non lo siamo noi. Essersi trovati di fronte a questo io può aver fatto piacere e non si può fare a meno di cercare di nuovo di riuscirci.

Quante volte capita di chiedere a persone o canzoni o libri di portarci via dalla realtà? E' uno stato mentale e fisico che ci fa volare via come può farlo alla pari il sonno. L'ambiente circostante e il contesto d'altra parte agiscono  accelerando o decelerando questo processo: sempre a seconda delle propensioni personali. Uno può volare via in fretta in mezzo ad una folla prima della partenza, oppure uno vola via più facilmente da solo mentre corre in un bosco. Dipende da ognuno. Uno magari vola via leggendo il suo libro preferito in treno. Oppure ascoltando un pezzo con l'ipod in metropolitana.
La gara, secondo me, accelera questo processo: è eccitante e narcotizza. Ci fa raggiungere prima quello stato. Quello stato muta nel tempo e può passare dallo stato di grazia iniziale a stati via via più confusionali o incoscenti o di eccitazione o deprimenti. Per me, anche l'arrampicata è così: il fatto che il pericolo percepito sia maggiore, ci fa subito dimenticare il resto e ci porta via. Con diversi tempi e diverse intensità, le attività agiscono su di noi. E siamo noi stessi somministratori e somministrati di questa medicina. Registi e attori. Siamo anche sceneggiatori? Con che grado di libertà possiamo scrivere il copione? Quanto coscientemente? Quanto arbitrariamente? Quanto è già scritto?

Una sorta di ricerca di quell che siamo e delle personalità che incarniamo a seconda delle situazioni.


Per questo dico che l'attività sportiva è la ricerca di se stessi. Da qui, il parallelo con l'Oracolo di Delfi.

Ti avverto, chiunque tu sia. Oh tu che desideri sondare gli arcani della Natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il Tesoro degli Dei. Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei.
Oracolo di Delfi


Attività sportiva...Sia quella indiviuale che quella di squadra. La gara offre la possibilità di essere spinti da un vento favorevole verso l'isola dove incontreremo il nostro io selvaggio. E non è uguale per nessuno in assoluto, è sempre relativo e soggettivo, anche a parità di prestazione. Anche a parità di tutto ciò che è l'esterno, perché dipende fortemente dalle attitudini personali ed è legato alle percezioni, ai propri feedback che confrontano lo stato attuale con la condizione che vorremmo percepire. Dico solo che la gara o l'allenamento più estremo porta questi feedback a funzionare male, ci porta fuori controllo e, in altre parole: ci mette nelle mani di questo nostro IO che agirà in base alle più pure leggi che sono scritte dentro di noi. Qualcuno può aver paura di scoprire ciò che è scritto dentro di ognuno: se ci fosse scritto di agire in modo sbagliato? Incoscente? O, peggio, vile? E che dire se ce ne fosse scritto qualcosa di buono? Che ci piace? Che ci fa pensare che il nostro IO sia meglio di noi stessi? Non cercherei di rincorrere per sempre quello stato?

Nella Storia Infinita dicevano: "Le sfingi sanno vedere fin dentro al tuo cuore".


Non si mente a se stessi.

E ancora:

"-Tu non capisci un bel niente! Il peggio deve ancora affrontarlo.
La porta dello Specchio Magico: si troverà faccia a faccia con il proprio io.
- E con questo? Che vuoi che sia per lui?
- Eeh, tutti sono convinti che sia facile...
Ma sovente i buoni scoprono di essere crudeli, eroi famosi scoprono di essere codardi.
Posti di fronte al loro vero io pressochè tutti gli uomoni fuggono urlando! "

Esopo ci insegna anche che, se è questo a cui ci si vuole sottoporre, alla purità del giudizio non ci si sottrae. Perché è la realtà delle cose a giudicarci a prescindere dallo stato in cui ci troviamo. Come dice la favola di Esopo, la decisione è nelle nostre mani, come un passerotto. Qualunque personalità si stia incarnando nel momento dell'attività si deve tenere ben presente che il passerotto è nelle nostre mani. Nelle mani del nostro IO: incoscente, selvaggio, delirante, eccitato, depresso. Spingersi al limite e cercare questo limite è procurarsi l'occasione di presentarsi alle nostre diverse persone. Prendere il rischio di presentarsi a queste persone. Vale la pena, non ne vale la pena? Fino a che conseguenze accettabili? Con che grado di rischio? Le risposte sono tutte personali, come un passerotto nele nostre mani. La ricerca della risposta, sembra essere la risposta stessa.

Io dico.... Conosciamo noi stessi, che dentro di noi c'è una folla.

"Conosci te stesso" ... 

Vi lascio alla favola...

Esopo - L'imbroglione
Un imbroglione s’era impegnato con un tale a dimostrare che l’oracolo di Delfi mentiva. Nel giorno stabilito, prese in mano un passerotto e, copertolo col mantello, andò al tempio, si fermò in faccia all’oracolo, e gli chiese se quel che teneva tra le mani respirava o no. Se gli fosse stato risposto di no, egli intendeva mostrare il passero vivo: se invece gli fosse stato detto che respirava, l’avrebbe strozzato prima di tirarlo fuori. Ma il dio, comprendendo il suo malizioso proposito, rispose: “Smettila, uomo, perché sta in te far sì che ciò che hai in mano vivo oppure morto”.

NB: la morale che si trova scritta è un tantino diversa. Come disse Doc in Rotorno al Fuutro: "Ho pensato: chi se ne frega?" La mia interpretazione è questa. Credo che nessuno riporterà qui Esopo per dirmi che sono un c******e che non ci capisce na cippa della sue favole.... Mi prendo tutto il vantaggio di essere distante secoli da lui...

Tag per tirarsi il trip mentale

Settimana 4-10 Mar
  • Corsa: 4 all: lun mar mer 10 10 10 e dom 20;
  • Trave: 1 All;
Settimana  11-17 Mar
  • Corsa: 4 all: 11 Mar 10 Merc  10 Sab  10 Dom;
  • Trave: 2 All;
Settimana 18-24 Mar
  • Corsa: 4 all: Mar 10 Mer 10 Gio 10 Dom 11;
  • Trave: 1 All;
  • Scialp: 700 D+ Mar, 1000 D+ Sab;
"...alcune persone che inalarono quei fumi furono invasi da furore profetico..."

JMBReRe

venerdì 15 marzo 2013

Naufragio sull'AltaVia: perdonami Wilson

Ieri sera ho rivisto una delle scene che io reputo una di quelle con la potenza cinematografica maggiore di tutti i film che ho visto.

Altrochè se è bella. Bella in tanti sensi. Commovente.
Mi ha fatto ripensare a quel giorno in cui un temporale mi ha fatto ritirare dopo solo due giorni dall'inizio della mia AltaVia n°1 valdostana (altavia), tentativo in autonomia e in solitaria. Per farla breve: avevo bivaccato con una tendina talmente vecchia che dopo due minuti di pioggia, l'acqua cominciava già ad entrare. Era notte, nei pressi del Lac de Barme. Il vento era forte, almeno questa era la sensazione. Lo sballottamento del telo leggero della tenda me lo lasciavano intuire. Ricordo solo di come stavo attaccato ai paletti perché il vento non strappasse via tutto. Ricordo le gocce d'acqua che scorrevano all'interno della tenda sopra la mia testa. E il fiato illuminato dalla frontale. Ma quello che mi ricordo è il pensiero che mi trapanava: dover rientrare anzitempo senza proseguire. Mi attaccavo ai paletti sperando che il temporale passasse in fretta, che non facesse troppo danno. Speravo che Qualcuno la facesse smettere - la montagna forse, ti rende agnostico-. Fattosta che mi sono addormentato e, senza vestiti nel mio sacco a pelo, ho atteso mattina...

Non è rimasto nulla di asciutto. Proprio come nel film, mi sono risvegliato e ho trovato il mio amico immaginario mentre galleggiava tra le onde: irraggiungibile... Il rientro è stato forzato dalla pioggia incessante del mattino, e dalla rottura della macchina fotografica, che è stata una batosta, moralmente parlando. Ingenuità forse? Si poteva fare diversamente? Certo, si poteva fare anche a meno di andare, quindi  non è questo il punto. Non è stato difficile rivestirsi con i vestiti inzuppati e gelidi. Il difficile è stato decidere di rientrare a casa. E' stato li, che ho ripreso la corda della zattera e ho lasciato andare Wilson.

Nel caso di Cast Away, Chuck Noland si era affezionato ad un amico immaginario fisico. Io mi ero affezionato a quello che stavo facendo. Che era diventato un tutt'uno: a modo suo, un amico immaginario in cui deporre e con il quale condividere sentimenti per non svuotarsi con la solitudine. Un amico insomma: qualcuno in cui si depone qualcosa di prezioso. D'altraparte il trekking in autonomo è una di quelle cose "che ti sottraggono dalla solitudine senza dare il conforto della compagnia".

La scena che ho rivisto mi ha ricordato come può essere paradossale il fatto che l'attaccamento a qualcosa che esiste solo nel mondo ideale ci possa spingere fino a rischiare di farci affogare, nella vita reale. Se lo perdi, perdi qualcosa di ideale, ma l'amarezza la si sente nel mondo reale. Un amico che se ne va e te che resti, o viceversa. Fattosta che è una parte di te che si allontana e che non percepisci più che nell'ora del ricordo...

Tristezza, amarezza, quindi, nel ricordo. Una parte di me resterà attaccata a quel paletto in quella tendina, boccheggiando e per sempre galleggiando, tra quella corda che sfugge e quel pallone che naufraga.
Perdonami Wilson.

JMBReRe

venerdì 8 marzo 2013

Febbraio

Allora rimettiamo a posto questo diario:

Settimana 25 feb-3 mar:
  • Corsa: 4 all: Mar 10, Mer 10, Gio 10, Ven 8; 
  • Scialp: 1 Sab 1000D+, 1 Dom 300 D+?; 
In definitiva febbraio conta:
  • Corsa: 18 all, 274 km; :-) 
  • Scialp: 1 da 1000 D+ -> :-( Che pena 
Il febbraio 2012 mi aveva visto fare:
  • Corsa: 17 all -> 159 km ...uhm de dum....può andare bene dai...
  • Bici da corsa: 0 all ...molto bene direi, sono un asino!
  • Mtb: 1 all...come non averlo fatto...35 km
  • SnowAlp: 1 da 700 :-(
  • Arrampicata: 2 all
  • Trave: 7 all
In pratica allora confermo che nel 2013 gli allenamenti di corsa sono più lunghi (nel 2012 si ha la media di 9.57 km a sessione, nel 2013 si ha 15.2km a sessione, quindi va bene così...). Di quest'anno devo ancora toccare bici, devo ancora cominciare trave (tranne ieri sera, una capatina), devo ancora uscire fuori per arrampicare. Molto male!

Va bene, questo è un post di passaggio! Stringato, in attesa di nuove idee.

Buon allenamento a tutti...

JMBReRe