«En redescendant, le cœur léger, je sifflote gaiement. Je viens de gagner le ticket pour le cap Horn, l’Amazonie… Ah ! Connaître l’enfer vert, la chaleur suffocante, les moustiques, les papillons aux ailes moirées, manger de la soupe de perroquet Ara, de la queue de caïman, avaler des larves gluantes, découvrir les mers du sud, entendre rugir le vent des quarantièmes, entendre hurler celui des cinquantièmes en doublant le cap Horn, siffler le dauphins qui dansent au clair de lune, apercevoir les glaciers qui brillent au fond des fjords ! Je veux vivre à en crever…»
JMB

lunedì 22 febbraio 2016

"Latila" o "La ragazza col viso a metà tra il riso e il sorriso" o "Il tramonto a Siurana"


Le sproporzioni umane dei sensi sono disarmanti e deprimenti.

Detto ciò...Questo post tratta di uno dei ragionamenti che ho condotto ultimamente e in cui mi sono riscoperto impreciso. Questo post non sarebbe stato lo stesso se non avessi letto Blaise, ma neppure Lev - o Leo - che mi han fatto andare in Spagna e conoscere Latila. 
O forse è Latila che mi ha fatto conoscere Leo e prima Blaise: ad oggi non mi sento di dire con perfetta precisione quali di questi avvenimenti si sono preceduti e quali succeduti.

Allora, la questione è semplice: pensavo che due tipi di infiniti fossero adeguati alla descrizione di ogni cosa presente e assente: l'infinito piccolo e l'infinito grande. Entrambi avvolgibili e replicabili nello spazio e nel tempo. Ma poi qualcos'altro ha cominciato a farsi spazio nella mia mente e ha cominciato a tempestare le solide colonne di questa certezza. Avevo delle domande irrisolte, e ne ho ancora, ma alcune sono sparite grazie all'ausilio di un prezioso elemento chiarificatore. Ho pensato, infatti, che mancasse un terzo elemento - e, invero, ora sono fermo a tre - per la completa descrizione di ogni cosa. Questo terzo elemento è null'altro che il luogo delle distanze intellettuali. Se infinito piccolo e grande sono indagabili dai sensi nello spazio fisico (se vogliamo), al pari, l'infinito tondo (come è chiamato il terzo) è strutturato in modo da non avere estremi e da contenere 1) ciò che possiamo immaginare - il luogo delle distanze intellettuali figurabili, immaginabili - e contenere 2) ciò che possiamo immaginare ma non figurare - inimmaginabili ma immaginevoli - e 3) ciò che non possiamo immaginare ne figurare -inimmaginabili e inimmaginevoli
Il terzo elemento è stato molto importante per la spiegazione di alcune domande a cui non trovavo risposta. Esempio: "Sono misero e perciò orgoglioso. Non mi metto alla ricerca e quindi sono abietto e infimo. Mi metto alla ricerca e quindi sono superbo. Devo cominciare la ricerca o no?" 

Però non potevo star qui a continuare così e perciò questo è quello che ho pensato di scrivere a riguardo. Il racconto è ambietato a Siurana e narra questa mia vicenda di scoperta tramite la voce di un arrampicatore che, mentre scalava al tramonto, sta per perdere le energie e cadere...

"Latila illuminami"


Ce ne sono di storielle che riguardano Latila. Storielle che si raccontano a Siurana, sotto le montagne di Prades, nella stessa comarca dove si ergono le montagne di Montsant. 

All'inizio, ovvero al principio delle cose sommate, esistevano solo quelle semplici. Si racconta di Latila - o Latifa, nella costa Daurada - che accompagna il sole al tramonto e colora la terra di rosso. 
Latila, nessuno l'ha mai vista. Lei è la ragazza col viso a metà tra il riso e il sorriso: un riso che impedisce di ignorare, un sorriso che impedisce di sapere. Inafferrabile, ogni volta cambia stato e ogni volta torna al suo stato inquieto. Complicato abbastanza da essere misterioso, ma non abbastanza misterioso da essere incomprensibile: nessuna idea -degli spazi immaginevoli- le si avvicina. Cercando in tutti i modi di afferrarlo non si fa altro che perdersi in divisioni per giungere all'estremo piccolo e perdersi in moltiplicazioni per giungere all'estremo grande: tutto quello che ho ottenuto è l'ennesima convincente bugia.
E questo non è un risultato nuovo e, vedendomi sempre sospeso, tremo alla vista di tutto ciò con cui non sono in proporzione, e nulla sazia il mio pensiero perché mi trovo sproporzionato con tutto, quando tutto ciò che non sono è fonte inesauribile di materia per il mio pensiero. Alla mia riserva limitata di energie, è ora rivolto il mio cruccio. Questa inadeguatezza mi è divenuta grave: non c'è uscita se non una misera e infima e inutile meditabonda depressione. 
Ho esaurito le forze alla ricerca di quel sorriso, di quel punto limite. Che fare, quindi? Continuare a contemplare in umile silenzio, o indagare con presunzione? La mia percezione, i miei svolgimenti logici, sono persi? Questo è tutto ciò a cui posso ambire? Un libro di sabbia? Una bugia credibile?

Usciva di scena il sole... tramontava su Siurana, Prades, comarca alle montagne di Montsant. 
Le mie dita si facevano piccole piccole, mentre salivo e il cielo si schiacciava.  Il mio fiato si faceva corto. 
I miei pensieri si spegnevano a centinaia.
Terribilmente grigia, la cupola di terrore che mi toglieva la vista a poco a poco. Non c'è nulla da fare quando ti stanchi di cercare. 
-"Non cadere adesso"- mi pregai. 
Provai a svolgere all'indietro in cerca del turchino, ma nulla. Il terreno per le storie che si sarebbero vissute quella notte era pronto: la tavola era apparecchiata per le prime stelle che si erano già sbriciolate. Da un momento all'altro sarebbe passata l'ultimo istante di giorno e null'altro sarebbe successo di giorno, per quel giorno, da quell'istante in avanti. E così per sempre.   
Mi venne alla mente una scritta, letta tanto tempo prima su un muro bianco. Forse a Reus. Forse a Tarragona. Storie strane, di treni che passano e spazzolano le coste di mari al tramonto. 
Mi apparve chiara nella testa una pioggia che saliva, ed un Creatore che dubitava di se stesso e che stava a guardare: inosservabile ed inarrivabile nella sua sproporzione con la nostra immaginazione.   
Poi un sibilo dalla bocca, triste e rassegnato come la polvere sulle ali delle farfalle: -"Latila, illuminami..."-. Venne il tramonto e l'ultimo raggio di sole che colorò la terra di rosso. -"Si, inafferrabile è la risposta..."-.
Niente è più insensato del pensare di poter rendere un susseguirsi di istanti irrequieti ed instabili di equilibrio un continuum. E' concupiscenza questa? E se non lo è, è accidia?
Quel poco di orgoglio che ho, mi mette alla ricerca e mi rende superbo nella brama delle mie intenzioni; quel poco di rassegnazione che ho rende la mia ricerca vana, deprimente, e si mischia alla noia e ad una strana avversione strana all'opera.

Ad oggi, solo una cosa mi è certa. Chi si mette alla ricerca del punto fermo in cui questo mistero smette di diventare comprensibile e diventa oscuro, nello spazio delle cose immaginabili, o senza considerare il terzo infinito, è come colui che tenta di afferrare il punto in cui l'ultimo raggio di sole arriva, che è il punto in cui il viso di Latila passa dal riso al sorriso, che è il punto in cui la terra di Siurana - di Prades, Montsant - si tinge di rosso: ben presuntuoso.




Da li in poi non ricordo più nulla.
Non ricordo chi mi abbia portato qui piuttosto che la...
Qui, ora, la fiamma della buona speranza trema e si abbassa e riparte sotto i movimenti dispettosi del vento. Che non so se è il mio fiato, o questa brezza mattutina di ali sbattute.

JMBReRe