«En redescendant, le cœur léger, je sifflote gaiement. Je viens de gagner le ticket pour le cap Horn, l’Amazonie… Ah ! Connaître l’enfer vert, la chaleur suffocante, les moustiques, les papillons aux ailes moirées, manger de la soupe de perroquet Ara, de la queue de caïman, avaler des larves gluantes, découvrir les mers du sud, entendre rugir le vent des quarantièmes, entendre hurler celui des cinquantièmes en doublant le cap Horn, siffler le dauphins qui dansent au clair de lune, apercevoir les glaciers qui brillent au fond des fjords ! Je veux vivre à en crever…»
JMB

sabato 9 dicembre 2023

La saggezza dell'autunno

La stagione, la vita, la giornata, rotolano via come pietre che scorrono lungo un pendio. Non si fermeranno.

Le guardiamo rotolare e, dopo un piccolo momento di eccitazione, scopriamo che non ci sarà ritorno, e ci assale la malinconia. Scopriamo di essere parte di questo processo che fa rotolare la pietra, scivolare l'acqua e cadere le foglie. La pietra non tornerà indietro, la foglia non si riattaccherà al ramo. Ci guardiamo le punte dei piedi e mormoriamo: "Si, è un 'basta' per sempre".

Ci rimproveriamo di non aver passato un attimo in più ad assaporare il profumo dei fiori d'arancio che richiamava le api con la tarda brezza estiva. E ora, tutti loro se ne sono andati, ad occupare un altro spazio sotto altra forma in un altro luogo. E tutto quello che possiamo sperare è che noi stessi potremmo, un giorno, rinascere in parte in un fiore d'arancio e, magari, in parte in un'ape. Possa arrivare di nuovo l'estate e possa quell'ape andare a quel fiore.

Saremo tutti nuovi la prossima primavera, e anche domani mattina. Del tutto, o solo in parte. E ci ricorderemo che siamo stati diversi e capiremo ciò che significa rotolare nell'oblio. Come tutte quelle foglie e quelle pietre rotolate verso il basso, non avremo memoria della nostra vita precedente. 

La vita ci è divenuta facile, in estate. E ci siamo dimenticati dell'inverno e che domani dobbiamo ricominciare. Quest'attesa ci logora e ci stanca. Ecco l'insegnamento dell'autunno: l'autunno ci insegna a sperare. Non nella resurrezione della carne, ne in quella dello spirito, ma alla continuità della materia, in qualcuno o in qualcosa. Che ormai ci siamo rassegnati al pensiero che aldilà del muro non ci possa essere garantita una presenza mentale, ma solamente una presenza materiale. 

Ed è tutto nascosto nei tramonti precoci, nell'aria umida e in quella apparente stanchezza che è insita in colui che sa che deve ricominciare. E ci ripetiamo continuamente: 

"Se tutto ciò fosse vero? Chi si addormenterebbe tranquillo se non avesse la certezza di risvegliarsi sempre in se stesso? La foglia che si stacca non sa nulla della foglia che l'ha preceduta l'anno prima. E' sempre la stessa, o è sempre diversa? Quale 'me stesso' sarò domani: colui che si è addormentato, o colui che si risveglierà?

È questo che spaventa tanto dell'autunno e della sera: l'incertezza. E' noto che temiamo l'oblio più di quanto temiamo la morte. 


Il sole, stanco anche lui, saluta Kefalonia. 
- Kefalonia, autunno 2023 -


sabato 26 novembre 2022

In viaggio con Chatwin


"In Patagonia", di Bruce Chatwin, è forse il libro di viaggio più famoso. Invero, lo troviamo in miriadi di liste dei "10 libri di viaggio da leggere", o cose simili. Di base, è un passaggio obbligato per coloro i quali vogliano mettersi in cascina i grandi classici dei viaggi. Che questo libro piaccia o no, questo è un altro discorso. Penso che molti, come me, lo potranno trovare estremamente ripetitivo nei temi proposti, con una lista interminabile di situazioni, persone, e posti visitati durante il lungo e "assurdo" viaggio di  Chatwin a cavallo tra Cile e Argentina. Quello che manca su internet, dopo una breve ricerca, non è tanto una serie interminabile di recensioni su questo libro, quanto una mappa dettagliata del percorso fatto (ci sono esempi di itinerari simili, ma sono tutti modificati, per le ovvie ragioni menzionate sopra: nessuno rifarebbe lo stesso esatto percorso, perché l'itinerario non è efficiente dal punto di vista del tempo/distanza). La mappa che si trova sul libro versione Gli Adelphi è poco dettagliata, e altre che ho trovato non mettono in luce i posti minori. A buon titolo: il percorso di Chatwin è stato molto erratico, con cambi di direzione e soste in luoghi impensabili e assolutamente non turistici. Si, insomma, non proprio il tipo di viaggio che un'agenzia pianificherebbe. 

Una breve rilettura del testo mi ha permesso di annotare i posti citati (mi scuso se me ne son persi per strada alcuni...). Una lista più o meno esaustiva potrebbe essere la seguente: con la partenza da La Plata e il museo di Buenos Aires, per continuare verso Sud a zig zag tra Argentina e Cile, e poi Cile e Argentina. La fine naturale arriva nella Terra del Fuoco, salvo un piccolo ripiego verso la famosa caverna indicata presso il "Last Hope Sound" ... I link sono stati aggiunti per ulteriori ricerche (sempre che sian giusti). 
  1. La Plata
  2. Buenos Aires
  3. Bahia Blanca (Rio Negro, Puerto Madryn)
  4. Valle Chubut (Gaiman, Bethesda
  5. Esquel (Trevelin, Epuyen, Cholila)
  6. Rio Pico (Las Pampas, El Cono)
  7. Comodoro Rivadivia (Sarmiento)
  8. Perito Moreno
  9. Arroyo Feo
  10. Paso Roballos
  11. Puerto Deseado
  12. San Julian
  13. Santa Cruz
  14. Rio Gallegos
  15. Rio Grande
  16. Ushuaia
  17. Puerto Williams (Navarino Island)
  18. Harberton (Lago Cami)
  19. Viamonte
  20. Porvenir
  21. Punta Arenas
  22. Puerto Natales
  23. Last Hope Sound
Se qualcuno legge i luoghi e trova un errore sarò felice di modificare la lista e aggiustare il tutto! Provando su Google Maps questo è più o meno quel che esce comunque. 





lunedì 1 novembre 2021

Lo splendore che c'è nella disperazione

Dopo una notte di febbre a Pëtr la testa non aveva smesso di dolere. Si trascinò fuori di casa e con cura chiuse la porta alle sue spalle. Il mattino era chiaro ma grigio e deboli residui di pioggia erano portati con violenza dal vento. Si incamminò lentamente verso la sommità della scogliera nascondendo il mento nel bavero della giacca. 

Quando finì di percorrere la scala di legno che risaliva decisa il versante ovest, la forza del vento rincrebbe e lui ne ebbe spavento. Il bollore della sua fronte si fece meno e lui ne ebbe temporaneo sollievo. Respirò a pieni polmoni quell'aria fresca e si diresse ancora più giù, verso est, su un tappeto di erba che rimaneva verde e regolare fino al netto inizio della caduta verticale della scogliera. 

Ma una volta passato il breve sollievo dato dalla distrazione del movimento, e accresciuta la sua sensazione di freddo, il mal di testa riprese forza e lo colpì più decisamente di quanto non aveva fatto nelle ultime ore. Chiuse gli occhi e si accoccolò premendosi i palmi sulle tempie, sottomettendosi a quel dolore lancinante.

Atterrito rimuginava tra se: "Misero me, non ha mai fine questo dolore. Ed è quanto più c'è di peggio nella mia vita e in quella di tutti gli uomini. Si, il peggio è che solo la morte ci può liberare da tutte queste sofferenze. E a chi importa questo?"

Mosse ancora dei passi e poi si fermò esausto, barcollò, e esitò senza più idea di dove andare. Poi aprì gli occhi e il vento gli sferzò il viso facendolo lacrimare. Nello strano grigio pallore e nel riflesso delle lacrime la sua attenzione si fermò su un albero poco distante. Si incamminò incerto verso quell'albero cresciuto in balìa dei venti, così deforme e assieme sinuoso che Pëtr non potè che allungare il dito verso il più vicino dei rami, dove lui vedeva mani e dita umane. 

Appena ebbe assaggiato la ruvidezza di quel legno, una nuova sensazione di pace avvolse il suo intimo essere. Aveva li, al parossismo dell'emicrania e nel delirio della febbre, la chiarezza di pensiero che sempre cercava. Si, l'evidenza che Pëtr sempre cercava in volti, cuori, parole e pagine, non avrebbe mai eguagliato l'eloquenza con la quale ora, sentiva, avrebbe potuto esprimere i suoi pensieri.  

"Si, quest'albero è misero ma non merita di esserlo. Non ha volontà, e nemmeno libertà, perché cresce così, come gli viene dette dal vento. Provo pietà per lui. L'albero soffre, senza speranza o ragione, e con una memoria che non serve a nulla. 

...


Ho sangue che mi scorre nelle vene e che mi irrora il cervello. Si, la vita mia e di questo albero e di tutti gli uomini che camminano sulla terra è materiale e non ideale. Ed è tutta qui in me, in luogo di materia cerebrale ordinata. Ed è solo questo che conta. Questa mente profonda, con cui posso penetrare il cielo grigio e oltrepassarlo fino a sbucare da sotto il mondo, e farmi legno nel ramo di quest'albero per toccarmi il dito attraverso esso. 

...

E non sono miserevole per la mia fragilità, ma per la mia comprensione. Sono peggio di questo albero, e non perché rifiuto la mia sofferenza ma proprio perché l'accetto e l'accetto come parte integrante della mia esistenza. Si, peggio di essere miseri è non volerlo essere. E questa comprensione, questo accumulo di materia ordinata all'interno del mio cervello è tutto ciò che posso guadagnare al gioco della vita. Si al peggio non c'è mai fine. Al dolore degli uomini e degli alberi non c'è fine se non nella morte."

L'albero vento scosso da una forte folata di vento e i suoi rami rotearono e poi di nuovo scesero. L'albero non si pronunciò, ma come si sa molto bene, a volte il silenzio può essere molto eloquente. Pëtr quel silenzio di pietra se lo aspettava, e questo lo spinse innanzi col suo monologo interiore. Infatti, proprio ora che si accorgeva di pronunciare questo verdetto, trovava nel verdetto la soluzione. 

"Non c'è fine al male, ma questo è bene. Si, perché se non c'è fine al male, vuole dire che nel male c'è sempre un po' di bene. E, sebbene possa esso trattarsi di un lembo di bene che penzola nel penoso vuoto del male, c'è del bene. Questa pietà che provo per quest'albero è bene, e io lo giudico bene. La mia vita sta nel rincorrere questo bene e trasformare la mia concupiscenza in atti di bene, che appartengono perciò all'eterno. Il mio male è alleviato dalla sensazione di pietà e il male di quest'albero è alleviato dalla mia compassione. Se inseguo il mio bene e volgo la mia superbia in pietà agisco per una memoria eterna. Si, che il mio anelito al bene appartiene all'eterno e mi serve per distanziare il male, che appartiene solo al mondo che passa. Si deve essere così, ed ecco quel che voleva dire Pierre quando mi diceva che si può capire il mondo solo quando si è felici."

E poi depose ai piedi dell'albero un pensiero. 

"Si, accumulate memoria ordinata come processione di connessioni cerebrali, nel nome del bene."

Lo disse con la speranza di una preghiera, e con somma fiducia nell'albero depositario. Lo disse come dire: "fate questo in memoria di me". 

Questo pensiero lo rincuorò, lo rilassò ed infine lo alleggerì della penosa sensazione di mal di capo. Riprese con il passo leggero la strada verso casa, e la diresse i suoi passi, dove scendevano ripidamente i gradini di legno della scala sul versante ovest. Scese i gradini con una nuova sensazione di leggerezza spirituale. E di pace. 

Splendore e disperazione alla penisola di Fyn Hoved, isola di Fyn. 

venerdì 12 aprile 2019

Ispirato da Jimmy

Ci sono due rischi nella vita: rischiare troppo e rischiare troppo poco.
Entrambi i rischi (se vissuti pienamente) portano ad esistenze estreme: una estremamente pericolosa, l'altra estremamente mediocre.

JMBReRe

PS: date un occhio a:
https://jimmychin.com/
https://www.renanozturk.com/
https://coryrichards.com/

venerdì 15 marzo 2019

Tamanika è in nessun luogo




Forse Stefano, forse Marco o Gian Marco, sono i primi ad avermi parlato di Tamanika. Tamanika è dove si trova la neve più bella. A Tamanika nulla è lasciato al caso: tutto al suo interno è calcolato con precisione, il numero di Decibel, dei Lumen, la lunghezza dei percorsi, le frequenze dei luoghi di sosta, il tipo e la quantità di informazione. A Tamanika ci si rapporta solo tramite simboli (parole o voci prepensate). Tamanika è l'esempio esistente di uno stato in cui si concretizza il sogno della "macchina per vivere". A Tamanika, ci sono spazi interi in cui mille individualità si incrociano senza entrare in relazione, tutte sospinte dal desiderio frenetico di accelerare. Tamanika è un incubatore, è una porta di accesso a un cambiamento. All'ingresso di Tamanika, ognuno perde tutte le sue caratteristiche e i suoi ruoli personali, per continuare solo ed esclusivamente ad esistere null'altro che nella propria essenza, come se l'intera vita di ognuno fosse ridotta esclusivamente alla semplicità di una punta di una matita ed un foglio bianco. L'unico ruolo di ognuno, è quello di un utilizzatore di questo nuovo potere, e questo ruolo è definito da un contratto più o meno soffice che si firma con l'ingresso. Queste sono le regole. 

Tamanika rappresenta dunque per molti una sorta di terra di mezzo, che accoglie nel momento di smarrimento ma che, a lungo andare, nello stesso momento in cui reifica l'essenza identitaria terrena, la sacrifica sull'altare della comune universalità. A Tamanika sono stato raramente, ma ho un ricordo indelebile di quei disegni che mi ha ispirato. La mia matita mi è sembrata leggera e scorrevole. La carta, soffice come la carta di cotone. Tamanika del resto ha ispirato ai grandi Maestri dei veri arabeschi, e questi, per bellezza ed essenzialità, io li pongo là in alto, assieme alle venature del marmo, alle curve delle camelie o alla regalità delle perle, assieme all'onorevole superiorità del leopardo delle nevi e dei suoi occhi liquidi, gelidi e sublimi.
  

L'ultima volta a Tamanika c'era un ragazzo, con capelli neri e lisci. Continuava a cantare una canzone, che si spandeva nel vento per tornare ad echi soffusi...

Oggi ho sognato di morire
ho camminato fuori dal palco
sparendo lassù tra le nuvole
e giunto al concerto dei cieli
gli angeli stavano cantando
la canzone che ho scritto per te
la canterai assieme a me?

Pensavo di sapere cosa 
mi stava per accadere
e tutto sarebbe di certo stato
come lo avevo sempre sognato
il bue, la luna, il tuono, il lampo
nell'occhio del ciclone
non esiste dritto né rovescio

Ora è passato tanto tempo
ora è passato troppo tempo
ma la vita incanta ancora
e so che un giorno tutto il mondo 
canterà questa canzone
che ho scritto per te
la canterai assieme a me?

Ora è passato tanto tempo
ora è passato troppo tempo
tutto ciò che riesco a capire
è aria, metallo, legno,
ma la vita resta ancora
è qui in questo cuore
dove il battito prosegue ancora

Cantava mentre scendeva con la sua tavola leggera nella neve farinosa. E la cantava di continuo, fino a quando davvero non è sparito tra le nuvole. A Tamanika sono andato e da Tamanika son tornato. Sparato come la palla di un cannone nel cielo stellato, al mio ritorno ero cambiato. E la Spira mirabilis, che tanto Jakob avrebbe voluto incisa sulla sua lapide, che guida il falco sulla sua preda, che dispone i bracci delle galassie e dei cicloni tropicali, che affascina fillotassisti così come biologi e astronomi, che da sempre spaventa chi crede solamente nella logica o nella natura senza credere nello spirito, con un altro ennesimo colpo di coda mi mandava al domani, incredulo e sbattuto.

Tamanika è non vita. Tamanika è in nessun luogo. Tamanika esiste solo per farti sognare. Come i palloncini, come la neve.

E, come la neve... puff ... ! Sparisce!


Surf a Tamanika, Ph. Credits: E.F.


JMBReRe

PS: devo il titolo del post ad un verso trovato nel libro "La strada blu" di Kenneth White. Il resto è pura follia. Del resto, come dice Emilio, "lo sci è folie".

PPS: La chiave di lettura di questo casino è questa. In arrampicata, o nello snowboard tremendo, ci si espone ad attimi in cui il trasporto è così eccessivo che si fa esperienza di quella che io chiamo nonvita. Non si tratta del flow, si tratta di nonvie. Che è un termine simile a nonlieu, che sono i nonluoghi di Augé. Non è vita ne morte, a cui non ci sono contrari. E' un'altra cosa. La corda, o la lama della tavola, diventano un cordone ombelicale, perché nel grembo della terra non si respira aria.

domenica 10 febbraio 2019

Brevis

Una passione non è una passione se non c'è un po' di ossessione.

JMBReRe

domenica 20 gennaio 2019

Una questione di cuore (1 di 2)

Negli ultimi tempi, diciamo quasi due anni, la mia attività fisica si è ridotta di molto. Una delle cause è stata la mia avventura assieme alla fibrillazione atriale (o FA per gli amici italiani o AF per gli amici inglesi). Con questo post sicuramente non vorrei mettermi nella condizione di chi dispensa consigli, ma solo nella condizione di chi condivide la propria esperienza. Ho appreso che "là fuori" sono molti gli appassionati di vario livello che sono affetti da diverse forme di aritmia, e quindi ho pensato che magari qualcuno potrebbe essere tranquillizzato se legge come sono andate le cose per qualcun altro. FA mi è stata diagnosticata ormai più di un anno fa, ma ho voluto aspettare che le cose si sistemassero per poter tracciare la traiettoria completa ed esaustiva della mia storia.  

Capitolo 1: Riconoscere di avere un problema

Anche gli alcolisti anonimi lo dicono: il primo passo è riconoscere di avere un problema. I primi episodi di aritmia AF mi sono comparsi diversi anni fa. Mi ricordo alcuni episodi vecchi di 8 anni, nei momenti in cui ero molto rilassato, per esempio la mattina a letto. Per gli anni successivi ho sempre svolto con regolarità attività fisica (questo blog in qualche modo può dare l'idea a qualcuno dall'esterno del volume di attività di cui sto parlando e di come questa oscillava negli anni e nei mesi, così da avere un parametro di confronto). Ogni anno ho partecipato a qualche gara (sempre sport di endurance) e quindi mi sottoponevo alla visita "per il rilascio del certificato medico per attività agonistica". Direi che quasi regolarmente, ogni anno, riportavo al medico dello sport il mio problema, ma ogni anno mi veniva rilasciato il certificato e le mie aritmie venivano appellate con il termine "benigne". Tutto ok quindi: libero accesso al circuito gare e al negozio di caramelle più bello del mondo! Il tutto era accompagnato da un ritmo di battito cardiaco (HR per gli amici) a riposo di circa 40 battiti al minuto, stavo alla grandissima. 
Con il passare degli anni gli episodi di aritmia sono aumentati. Sorpassati i 32 anni di età gli episodi sono comparsi durante gli allenamenti. Mi ricordo che i primi sintomi durante l'attività sono comparsi nei primi minuti delle sessioni di corsa e, in particolare, dopo la prima fase di riscaldamento, dove mi fermavo un attimo prima di cominciare con la serie di lavoro ad alta intensità. Scaricavo i dati su Gramin connect e i grafici di HR impazzivano, c'era sicuramente qualcosa che non andava. Quello che prima mi faceva battere il cuore fuori dal beat saltuariamente e in condizioni di riposo (magari il mattino dopo una cena esauriente o nei periodi di maggiore stress e caffeina) si stava trasformando in un fastidioso visitatore che veniva a trovarmi durante i miei allenamenti più belli. Percepivo le AF come momenti in cui il cuore "non ci stava dietro". Faceva qual che poteva per farmi recuperare in fretta, ma era come se facesse fatica a tornare al suo ritmo di riposo in modo efficiente. 
Con il passare dei mesi la situazione non migliorava. AF cominciarono a comparire anche nei momenti peggiori: in piscina durante il mio allenamento ad alta intensità tra un bout e l'altro avevo episodi che mi facevano mancare il respiro. Una volta mi fecero anche bere dell'acqua. Mesi dopo cominciarono a comparire AF anche durante i miei giri in bici. Con l'inizio del 2017 il problema era diventato innegabile: non ero più tranquillo di allenarmi con le mie AF "benigne". Volevo capire come fare per togliermi il problema e qualcuno mi doveva aiutare. AF erano diventate un problema e io non potevo non riconoscerlo. 
Mi sono affidato ad un grande amico e grande medico (SS). Medico dello sport con un master di secondo livello in cardiologia e con una grande passione per gli sport di endurance (ha un PB in maratona di 2:56 alla maratona di Atene). Lui mi ha sottoposto ad una prova da sforzo che prevedeva due rampe più o meno veloci (riporto i risultati sotto). La presenza di qualche meccanismo strano era innegabile. 
   
In questo grafico è possibile osservare molto bene come il cardiofreqenzimetro aveva molte difficoltà nel monitorare la mia HR durante il recupero dalla prova da sforzo. In nero è possibile distinguere la potenza erogata in Watt (non tanta, lo so) e in rosso il battito cardiaco (HR). Le frecce azzurre indicano proprio le fasi di recupero e la comparsa delle palpitazioni a-ritmiche. 


Capitolo 2: Visualizzare il problema

Il problema quindi esisteva. Il mio nuovo medico dello sport non mi avrebbe firmato il certificato medico per l'attività agonistica. Il triathlon sprint Ledroman di luglio sarebbe stata la mia ultima occasione. Poi avrei dovuto affrontare le FA. Parlare col medico mi rassicurava molto. Potevo fare sforzi in modo più tranquillo: sapevo che avrei dovuto sottopormi alle cure durante l'autunno ma che nel frattempo avrei potuto sparare fuori delle cartucce. Ma poi? Ledroman era immancabile e poi alle porte c'era l'estate...come rinunciare agli allenamenti estivi? Quali erano le possibili soluzioni? Come togliere il problema? 
Dovevamo prima visualizzare e classificare il problema. L'iter era abbastanza chiaro: prima elettrocardiogramma, poi Holter 24h, poi risonanza magnetica, ecocardio e, cosa ancora più importante, visita specialistica dall'aritmologo. RM ed ecocardio ci hanno aiutato ad escludere difetti strutturali. L'elettrocardiogramma confermava che la bradicardia persisteva, e che le mie aritmie benigne però mi esponevano a problemi di coaugulo. 
I risultati dell'Holter erano però imbarazzanti: durante le 24 h in cui ho vestito il dispositivo ho fatto un po' di tutto, e mi sono anche allenato con un bell'intervallato 4x4. Il referto parlava da se: 33 battiti al minuto frequenza minima (durante la notte), 233 la frequenza massima (durante l'allenamento). Il problema a questo punto non lo avevo solamente diagnosticato oppure riconosciuto, ma ce l'avevo pure li tra le mani, in quel plico di fogli ritirato alla segreteria dell'ospedale. 

FINE PRIMA PARTE


Informazioni reperibili

Il libro Haywire heart mi è stato consigliato (velopress.com/books/the-haywire-heart/), ma non l'ho ancora affrontato. Molto interessante mi è sembrato il podcast su Velonews (in inglese) (velonews.com/podcast).

Wiki (panoramica non certificata) (it.wikipedia.org) dove per la prima volta ho letto che la FA è potenzialmente legata ad attività fisica vigorosa e prolungata.

Ciclismo (eurheartj)
Funzione ad U tra tempo di esercizio intenso ad FA - Le 2000 h (academic.oup.com/europace)
Parametri di confronto per curiosi

Al momento in cui scrivo questo post ho 34 anni. 183 di altezza e peso tra 74 (alta stagione) a 78 (bassa stagione). Il mio VO2max è oscillato tra 53 pro chilo a 55 prochilo negli ultimi anni. Attualmente la mia VT1 (o soglia aerobica) è a 67% del VO2max (147 di HR) mentre la mia VT2 (o soglia anaerobica) è all'85% del mio VO2max (170 di HR). I PB sono circa: 5:30 nel 70.30, 1h:19' nello sprint e 11h:19' nell'IM (tutte distanze triathlon), poi 3h:11' nella maratona e 1h:30' nella mezza maratona (registrato però al 70.3 di Jona), ho 3h:00' nella dolomiti skyrace e 3h:00 nella salita al Petit Mont Blanc dalla Val Veny (2000 metri di dislivello positivo). Per il carico di allenamento degli ultimi anni (fino al 2016 circa) c'è tutto il sito da guardare (oppure le somme tirate a fine annata sulla spalla dx).

Spero di poter scrivere presto la seconda e ultima parte dell'avventura FA.

JMBReRe