Chiaro che leggendolo ognuno non potrà fare a meno di ricreare nella propria testa immagini di situazioni conosciute. Io l'ho fatto.
A me il racconto che segue lascia un po' di amaro in bocca e un po' di freddo nello stomaco.
Sarebbe bello, e in questo sta il mio tentativo, direte voi se fallimentare o meno, di far soffiare un po' di vento. Vorrei fissare per un attimo le immagini che seguono nel posto recondito dove i pensieri diventano ricordi e dove i ricordi diventano morali, fino ad influenzare il nostro agire. Questo flusso di ricordi, pensieri, idee, immagini è quello che io chiamo vento, in questo contesto. Il vento che soffia in montagna porta il timore del freddo e ci fa rabbrividire e noi reagiamo magari tremando e sfregandoci le mani. Allo stesso modo vorrei creare una piccola folata sulle cime delle montagne che ognuno di noi porta dentro per rabbrividire un attimo dall'interno: uno di quei brividi che ci fa scaldare, amare, agire per poter sperare un poco di più in una vita da uomini.
Girano molte storie di montagna. Spesso si tramandano di bocca in bocca
e non si riesce mai a fissarle. Sfuggono, rimbalzano, si appiccicano. Le storie
di montagna sono appiccicaticce.
La storia della montagna Rossa una di queste. Il protagonista di cui si
narra potrei essere io, potresti essere tu, potrebbe essere lui. Potrebbero
essere tutti. La montagna, potrebbe essere una strada. La valanga, quella, potrebbe essere una macchina. Insomma... La montagna è un pretesto. Giusto per dare al testo un contesto.
Si racconta di un ragazzo che venne investito da una valanga sulla cima
Rossa, sulle propaggini del monte Calendo, nella Verbania est. Accadde in
marzo: mese autunnale nell'emisfero Australe. Lui aveva l'abitudine di
avventurarsi in alta montagna da solo.
Alla vista di quel gigantesco fronte di valanga che si staccava e che
veniva a lui presso, si sarebbe ricordato di quel giorno in cui, molti anni
prima, aveva visto picchiare una ragazza, e dei nodi nel legno delle assi del
soffitto del bivacco sotto cui si riposava solamente un mese prima e dove aveva
pronunziato una tremenda profezia.
Se solo avesse avuto il tempo, di fronte a quel pezzo bianco di geologia glaciale che gli si abbatteva contro con una furia titanica, avrebbe maledetto tutte le scelte da uomo che non aveva fatto nel corso della sua vita. L'ultima, la più fatale –la pronuncia della profezia- non era diversa dalle altre. La realtà è che ormai da tempo aveva cominciato a seppellire da solo l’uomo che c’era in lui.
Se solo avesse avuto il tempo, di fronte a quel pezzo bianco di geologia glaciale che gli si abbatteva contro con una furia titanica, avrebbe maledetto tutte le scelte da uomo che non aveva fatto nel corso della sua vita. L'ultima, la più fatale –la pronuncia della profezia- non era diversa dalle altre. La realtà è che ormai da tempo aveva cominciato a seppellire da solo l’uomo che c’era in lui.
Il setto nasale se l'era rotto -ma più correttamente, per essere più
gentile nei suoi confronti, dovrei dire che se lo fece rompere- una mattina grigia
di dicembre di molti anni prima della caduta della valanga. (Ecco, io lo
racconto così, e in effetti scrivo così, perché, come detto, vorrei essere
gentile con lui. La realtà è che non si sa bene se quel setto nasale lui non se
l'era rotto per una gomitata. A dire il vero non so neppure se se lo fosse
rotto. Questa storia però è diventata parte di lui, e forse anche lui aveva
finito per crederci. Aveva finito per avere un setto nasale rotto dalle sue
fantasie, dai suoi rimorsi. In ogni caso, non voglio essere cattivo, dirò solo
che il suo setto nasale si ruppe). Non so se si ruppe nelle circostanza in cui
lui raccontava che si ruppe. Ecco però io credo che se è vero che il suo setto
nasale si ruppe veramente nel modo che è solito raccontare, non sarebbe vissuto
tutti quegli anni nei suoi bui rimorsi fino al giorno della valanga. Bui
rimorsi. Si, perché è da quel triste mattino che la sua vita poco a poco
cambiò. E fu da quel mattino che cominciò ad andare da solo per le montagne. In
quel triste mattino della sua adolescenza camminava incappucciato nelle nebbie
e nei vapori di una ferrovia. Quello che vide, sarebbe rimasto a lungo nella
sua memoria: due figure scure, di un uomo e una donna si fronteggiavano.
Sentiva le voci dei due che si alzavano sempre di più e percepiva una strana
elettricità nell'aria. Ad un tratto la figura dell'uomo mosse un braccio e
spalmò con violenza il suo polso sullo zigomo e poi sulla guancia e sulle
labbra della figura della donna, che precipitò a sul fianco sinistro
sorreggendosi a malapena con ginocchia e mani. Il ragazzo sentì un violento
calore salirgli il collo e poi la testa e il cuoio capelluto. Fino a dargli la
sensazione di potersi esfoliare come un serpente. Una parte di lui agì di
istinto e avvolse le sue braccia attorno alla figura dell'uomo cercando di
immobilizzarla. Fare a botte non era il suo mestiere. Tanto che, la sua azione
tanto cavalleresca dal piglio eroico e dall'impeto coraggioso, prese i
connotati incoerenti quando finì per biascicare: "ma che cosa fa?, si
contenga!". Sentì le braccia disserrarsi e le costole piegarsi una ad una
come i tasti di una pianola. La figura dell'uomo, in cui, finalmente riconobbe
(che sorpresa) un uomo!, si dimenò e si liberò dalla presa. Quando fu libero di
muoversi ruotò spalla e braccio all'indietro facendo fermare il suo gomito sul
naso del ragazzo che, impreparato a tanta violenza, cadde supino sul sedere
come se gli avessero sfilato il tappeto da sotto i piedi.
Ma l'uomo, che probabilmente di violenza e di mattinate fredde nelle
ferrovie aveva vissuto, non si curò neppure di quel naso rotto, ma fece
rialzare la figura della donna –nel quale si riconobbe, che sorpresa! una
donna!- e con uno strattone la portò via nel buio. Mentre la strattonava e
cercava di farla camminare impedendole di lamentarsi, passò davanti all'altra
parte del ragazzo che nel frattempo se ne era stato immobile, con le mani in
tasca, senza far nulla, sulla soglia di quella scena. Il ragazzo con le mani in
tasca guardava sbigottito il ragazzo che, a terra, si teneva il naso e che
gemeva per il dolore. Questi si mise una mano in tasca per cercare un fazzoletto
con cui fermare il flusso di sangue vermiglio che sgorgava dalle narici.
Orribilmente viola, una macchia di sangue si accumulava sotto la sua pelle,
fino al di sotto degli occhi lucidi. Il ragazzo con le mani in tasca rimase con
le mani in tasca. Non provò nessuna pena, ma al contrario, provò
commiserazione. Tra sè e sè ripeteva: "ecco, hai visto che succede a non
farsi gli affari propri...ed ecco...ciò che rimane di un uomo ora...una pettola
insanguinata per terra. Uno sputo di catarro rosso...".
Quell'immagine, ma soprattutto quel pensiero, non lo avrebbero mai più
abbandonato. Gli anni passarono e agli anni si aggiunsero ad altri anni. Quella
commiserazione per l'altro si trasformò in commiserazione per se stesso. Perché
aveva capito che di quel ragazzo maldestro che si era fatto rompere il naso non
rimaneva molto, una volta che lo si guardava con le mai in tasca dall'alto in
basso; ma di quel che rimaneva, almeno c'era qualcosa di essenziale, qualcosa
che lo faceva rimanere uomo. Ecco cosa rimaneva di un uomo: qualcosa. Mentre a
lui, al ragazzo con le mani in tasca, non rimaneva neppure quello. Quella
macchia di sangue, non sarebbe mai andata via. Si sarebbe per sempre odiato per
la commiserazione che aveva provato. Giurava di esser stato il ragazzo colpito
da quel folle gomito, ma forse avrebbe solo voluto esserlo.
Ma ora, ora, era di fronte ad una montagna che cadeva. Un respiro
gelido lo investì con l'urto di una tempesta. I suoi piedi si fecero molli e le
gambe non rispondevano. Avesse dovuto descrivere quel vento, avrebbe detto che
quello era l'alito di Giove. Si trovava di fronte allo scatenarsi della forza
più grande che avesse mai immaginato: che annunciava il crollo del mondo e
delle cattedrali della terra. Un boato immenso, di un ingombrante e assordante
spessore, lo raggiunse e lo sorpassò; e con esso, un urlo straziante. Il grido di un cavallo bianco che veniva ammazzato dentro di lui cavalcava un’ondata il
brivido: era il grido senza fiato della paura. Era il terrore.
All'alito fecero seguito, nell'ordine: il getto di cristalli, la raffica di schegge e la l'ondata di polvere. Ma fu dopo l'ondata di polvere che lui smise di distinguere. Distinguere colori, distinguere pensieri. Distinguere sensazioni, distinguere dove e come, fosse posizionato ogni pezzo del suo corpo. Fu allora che quel vomito bianco lo colpì, lo avvolse, lo abbracciò e lo trascinò per sempre con se. La neve polverosa si infilava nella giacca e nei pantaloni. Poi su per le narici e per ogni condotto che nel mondo dei vivi quel corpo adoperava per nutrirsi d'aria. Neve fino alla gola. Polvere d'acqua e ghiaccio fino ai polmoni. Perse conoscenza. Poi perse la possibilità di riprendere conoscenza. Poi più nulla, ovvero, la sua conoscenza sparì, le cellule cerebrali che si erano spente a milioni in quel folle rimescolamento erano all'estinzione. Dal corpo senza più vibrazioni e tremori quella tempesta bianca aveva preso ciò che rimaneva dell'uomo: l'essenziale. Era diventato ghiaccio, quell'uomo diventato montagna.
All'alito fecero seguito, nell'ordine: il getto di cristalli, la raffica di schegge e la l'ondata di polvere. Ma fu dopo l'ondata di polvere che lui smise di distinguere. Distinguere colori, distinguere pensieri. Distinguere sensazioni, distinguere dove e come, fosse posizionato ogni pezzo del suo corpo. Fu allora che quel vomito bianco lo colpì, lo avvolse, lo abbracciò e lo trascinò per sempre con se. La neve polverosa si infilava nella giacca e nei pantaloni. Poi su per le narici e per ogni condotto che nel mondo dei vivi quel corpo adoperava per nutrirsi d'aria. Neve fino alla gola. Polvere d'acqua e ghiaccio fino ai polmoni. Perse conoscenza. Poi perse la possibilità di riprendere conoscenza. Poi più nulla, ovvero, la sua conoscenza sparì, le cellule cerebrali che si erano spente a milioni in quel folle rimescolamento erano all'estinzione. Dal corpo senza più vibrazioni e tremori quella tempesta bianca aveva preso ciò che rimaneva dell'uomo: l'essenziale. Era diventato ghiaccio, quell'uomo diventato montagna.
Poi, silenzio. E ancora silenzio. Perché la montagna fa rumore ed esige
silenzio. Senza appelli. Ore dopo, una folata di vento sollevò un turbine di
neve e ghiaccio dalla cima, proprio sopra al pendio, dove, in quel primo
pomeriggio, si era staccato un cornicione carico di neve. Ci fu uno sfarfallio
di brillanti faville bianche e azzurre che poi si fecero trasportare giù per i
pendii innevati. Nell'ultimo chiarore del crepuscolo, che colorava di rosa e di
oro ora solamente le cime, fischiarono nelle serrature dei crepacci e sfilarono
attraverso dei torrioni di roccia monumentali. Scesero ancora, intatte nel loro
splendore. Sembravano la scia di una cometa. Si abbassarono ancora fino alla
porta del bivacco, baluginarono intorno alla lampada accesa all'esterno e quando
capitarono di fronte alla finestra chiusa, si spensero e caddero nel buio della
bassa quota. In quel bivacco ci aveva dormito solamente un mese prima. Quella
volta in cui aveva aspettato per un giorno intero il bel tempo. Quella volta,
mentre si riposava nel caldo del sacco a pelo con le braccia incrociate dietro
la testa, osservava le nodosità del legno chiaro di cui erano composte le assi
del soffitto. Quei nodi sembravano delle lacrime. Sembrava che ci fossero solo
dal momento che l'albero dalle quali erano state estratte aveva pianto per il
dolore. Accanto ai nodi: strisce scure, serpeggiavano eleganti. Fissandosi
sulle strisce non erano più i nodi ad essere gocce immobili, ma erano le strisce
ad essere scie ferme delle lacrime sui loro volti polverosi. Ora invece i nodi
erano immobili pilastri a cui l'acqua di quel fiume di dolore fluiva accanto. Dal
tavolo, una candela faceva luce senza convinzione e metteva in movimento ogni
cosa con le sue ombre rossastre e gialle e arancioni. Sembrava che il soffitto potesse
prendere fuoco, ma che, sorprendentemente, ci si sarebbe potuti rimanere
avvolti come in un caldo abbraccio. Riguardò il legno del soffitto: i nodi come
gocce e le strisce come filamenti che se le contendevano. Poi riguardò ai nodi
come noccioli immobili e vide di uovo le strisce muoversi. E poi pensò al gusto
fruttato del vino, alle botti di rovere, all'immobilità del legno senza vita.
"Che bello il nome Amaranta", sospirò. "Sembra un nome da legno,
da albero. Ah! Potessi vivere in un albero". Lo sguardo finì poi sulla
finestra. Poi attraverso la finestra fino alla nebbia azzurra e pallida che
avvolgeva e premeva sul rifugio. C'era un pallore speciale. La luna piena non
aveva forza per bucare le nuvole basse, ma le riempiva con talmente tanta
smania di quel suo colore di perla che se qualcuno avesse detto: "ancora
un po' e le nuvole scoppiano" nessuno avrebbe detto niente per deridere la
sua eccessiva esclamazione. E la pressione della nebbia piena di luce fu
talmente forte che compresse tutti i pensieri dell’abitante del bivacco fino all'immobilità
totale. Scese la pace del sonno nel caldo delle coperte e nell'immobilità dei
pensieri: persino le ombre proiettate dalla luce della candela sembravano
fermarsi. Nodi e strisce che fino a quel momento aveva fatto muovere a suo
piacimento solo con un semplice cambio di prospettiva, erano ferme immobili a
pochi centimetri dal suo naso.
"Sai....", disse: "se ci trovassimo la fuori, investiti
da una valanga e dovesse restare sotto solo uno di noi due, e si potesse
scegliere tra i due chi potesse essere il travolto e chi potesse essere quello
salvo con in mano l'ARTVA*...beh, io sceglierei di essere quello sotto."
Non stava parlando da solo. Stava parlando a quel ragazzo che, anni
prima, aveva visto farsi rompere il naso da una gomitata. Insomma … Non aveva
smesso di non essere uomo, nelle sue scelte.
E nessuno sopravvive a se stesso.
JMBReRe
Allora il diario invece:
Settimana 24-30 Nov
- corsa: 8 mar, 10 mer, 10 dom;
- bici: 50 sab;
- secco: gio, ven, dom;
- nuoto: gio, ven, dom;
Settimana 1-7 Dicembre:
- Secco: mar, gio;
- Nuoto: mar, mer, gio;
- Scialp: 600 sab, 700 dom;
Settimana 8-14 Dicembre:
- Scialp: 700 lun;
- Secco: mar, gio, sab;
- nuoto: mar, mer, sab;
- corsa: 8 ven, 14 dom;
Quindi novembre 2014 conta:
- Corsa: 13 all, 130 km; :-)
- Bici: 6 all, 245 km; :-/
- Nuoto: 8 all; :-/
- Secco: 11 all; :-)
Nel complesso, direi -> :-)
Cosa avevo fatto negli scorsi anni a novembre???
2013
- Corsa: 161 km per 14 all;
- Bici: 130 km in 3 sedute;
- Nuoto: 7 all;
- Secco: 8 all;
- Scialp: 2 1000 e 600 D+;
- Esc: 1 da 500 D+ easy;
2012 invece? Novembre:
- Corsa: 12 All, 146 km :-\
- Bici corsa: 1 da 25 :-(
- Secco-Pesi: 8 all ;-P
Nel 2011 cosa avevo fatto??
- Corsa: 13 tot 115 km;
- Mtb: 5 tot 120 circa....molto circa;
- Bici da corsa: 1...cosa???? :-0 che schifo...
- Nuoto: 1...cosa???? :-0 che schifo...
- Trave: 6, ok...
- Arrampicata: 2, ok...
Fate i bravi...
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