Dopo una notte di febbre a Pëtr la testa non aveva smesso di dolere. Si trascinò fuori di casa e con cura chiuse la porta alle sue spalle. Il mattino era chiaro ma grigio e deboli residui di pioggia erano portati con violenza dal vento. Si incamminò lentamente verso la sommità della scogliera nascondendo il mento nel bavero della giacca.
Quando finì di percorrere la scala di legno che risaliva decisa il versante ovest, la forza del vento rincrebbe e lui ne ebbe spavento. Il bollore della sua fronte si fece meno e lui ne ebbe temporaneo sollievo. Respirò a pieni polmoni quell'aria fresca e si diresse ancora più giù, verso est, su un tappeto di erba che rimaneva verde e regolare fino al netto inizio della caduta verticale della scogliera.
Ma una volta passato il breve sollievo dato dalla distrazione del movimento, e accresciuta la sua sensazione di freddo, il mal di testa riprese forza e lo colpì più decisamente di quanto non aveva fatto nelle ultime ore. Chiuse gli occhi e si accoccolò premendosi i palmi sulle tempie, sottomettendosi a quel dolore lancinante.
Atterrito rimuginava tra se: "Misero me, non ha mai fine questo dolore. Ed è quanto più c'è di peggio nella mia vita e in quella di tutti gli uomini. Si, il peggio è che solo la morte ci può liberare da tutte queste sofferenze. E a chi importa questo?"
Mosse ancora dei passi e poi si fermò esausto, barcollò, e esitò senza più idea di dove andare. Poi aprì gli occhi e il vento gli sferzò il viso facendolo lacrimare. Nello strano grigio pallore e nel riflesso delle lacrime la sua attenzione si fermò su un albero poco distante. Si incamminò incerto verso quell'albero cresciuto in balìa dei venti, così deforme e assieme sinuoso che Pëtr non potè che allungare il dito verso il più vicino dei rami, dove lui vedeva mani e dita umane.
Appena ebbe assaggiato la ruvidezza di quel legno, una nuova sensazione di pace avvolse il suo intimo essere. Aveva li, al parossismo dell'emicrania e nel delirio della febbre, la chiarezza di pensiero che sempre cercava. Si, l'evidenza che Pëtr sempre cercava in volti, cuori, parole e pagine, non avrebbe mai eguagliato l'eloquenza con la quale ora, sentiva, avrebbe potuto esprimere i suoi pensieri.
"Si, quest'albero è misero ma non merita di esserlo. Non ha volontà, e nemmeno libertà, perché cresce così, come gli viene dette dal vento. Provo pietà per lui. L'albero soffre, senza speranza o ragione, e con una memoria che non serve a nulla.
...
Ho sangue che mi scorre nelle vene e che mi irrora il cervello. Si, la vita mia e di questo albero e di tutti gli uomini che camminano sulla terra è materiale e non ideale. Ed è tutta qui in me, in luogo di materia cerebrale ordinata. Ed è solo questo che conta. Questa mente profonda, con cui posso penetrare il cielo grigio e oltrepassarlo fino a sbucare da sotto il mondo, e farmi legno nel ramo di quest'albero per toccarmi il dito attraverso esso.
...
E non sono miserevole per la mia fragilità, ma per la mia comprensione. Sono peggio di questo albero, e non perché rifiuto la mia sofferenza ma proprio perché l'accetto e l'accetto come parte integrante della mia esistenza. Si, peggio di essere miseri è non volerlo essere. E questa comprensione, questo accumulo di materia ordinata all'interno del mio cervello è tutto ciò che posso guadagnare al gioco della vita. Si al peggio non c'è mai fine. Al dolore degli uomini e degli alberi non c'è fine se non nella morte."
L'albero vento scosso da una forte folata di vento e i suoi rami rotearono e poi di nuovo scesero. L'albero non si pronunciò, ma come si sa molto bene, a volte il silenzio può essere molto eloquente. Pëtr quel silenzio di pietra se lo aspettava, e questo lo spinse innanzi col suo monologo interiore. Infatti, proprio ora che si accorgeva di pronunciare questo verdetto, trovava nel verdetto la soluzione.
"Non c'è fine al male, ma questo è bene. Si, perché se non c'è fine al male, vuole dire che nel male c'è sempre un po' di bene. E, sebbene possa esso trattarsi di un lembo di bene che penzola nel penoso vuoto del male, c'è del bene. Questa pietà che provo per quest'albero è bene, e io lo giudico bene. La mia vita sta nel rincorrere questo bene e trasformare la mia concupiscenza in atti di bene, che appartengono perciò all'eterno. Il mio male è alleviato dalla sensazione di pietà e il male di quest'albero è alleviato dalla mia compassione. Se inseguo il mio bene e volgo la mia superbia in pietà agisco per una memoria eterna. Si, che il mio anelito al bene appartiene all'eterno e mi serve per distanziare il male, che appartiene solo al mondo che passa. Si deve essere così, ed ecco quel che voleva dire Pierre quando mi diceva che si può capire il mondo solo quando si è felici."
E poi depose ai piedi dell'albero un pensiero.
"Si, accumulate memoria ordinata come processione di connessioni cerebrali, nel nome del bene."
Lo disse con la speranza di una preghiera, e con somma fiducia nell'albero depositario. Lo disse come dire: "fate questo in memoria di me".
Questo pensiero lo rincuorò, lo rilassò ed infine lo alleggerì della penosa sensazione di mal di capo. Riprese con il passo leggero la strada verso casa, e la diresse i suoi passi, dove scendevano ripidamente i gradini di legno della scala sul versante ovest. Scese i gradini con una nuova sensazione di leggerezza spirituale. E di pace.
Splendore e disperazione alla penisola di Fyn Hoved, isola di Fyn.